14 febbraio 2012

Applaudire la tv su Twitter. Intervista al Prof.Michele Sorice.

 















Durante il Super Bowl, Doritos ha sbancato Twitter grazie ad una campagna user-generated nata mesi prima. Stimolare le conversazioni durante eventi tv sarà l'obiettivo di comunicazione di domani anche in Italia. Per questo è giusto che l’advertising indaghi sullo spostamento dei pubblici televisivi.
Cosa succederà a Sanremo dopo il grande successo su Twitter de #ilpiugrandespettacolodopoilweekend?
L'ho chiesto al prof.Michele Sorice, docente di Comunicazione Politica e di Sociologia della comunicazione alla Facoltà di Scienze Politiche della LUISS “Guido Carli”, dove dirige il CMCS – Centre for Media and Communication Studies “Massimo Baldini” (qui il BLOG ufficiale). Ne è venuta fuori una lunga e bella intervista, anche emozionante, quando si parla di Enzo Tortora.

1) Martedì inizia Sanremo e, come tutti gli ultimi eventi tv, su Twitter l'hastag #sanremo diventerà Trend Topic. Cosa ne pensa di questa tendenza?

I social network, e Twitter in particolare, rappresentano degli straordinari strumenti di connessione. Una prova evidente di questo è rintracciabile nell'uso che dei tweets è stato fatto durante l'esplosione della cosiddetta "primavera araba", in particolare nei casi dell'Egitto e della Tunisia. Ci sono studi, anche recenti, interessanti in tal senso; mi permetto qui di ricordare quello recentemente pubblicato dall'International Journal of Communication (che è peraltro scaricabile: http://ijoc.org/ojs/index.php/ijoc/article/view/1246/643). La funzione della connessione è prioritaria persino rispetto a quella informativa, che pure rappresenta una dimensione importante in Twitter.
Fatta questa premessa, dovremmo considerare due aspetti: il primo riguarda proprio la natura connettiva dei social network (Twitter su tutti), il secondo concerne aspetti più squisitamente sociali e, in parte, persino antropologici. Il primo aspetto. La logica della connessione si appoggia a quella della rappresentazione pubblica, della sua "socialità"; lo spettacolo musicale (anche se mediatizzato dalla televisione) è uno dei "luoghi simbolici" in cui la fruizione collettiva è parte integrante della rappresentazione. Il festival di Sanremo, da questo punto di vista, ha sempre rappresentato un momento di condivisione, di costruzione di "network" interfamiliari o di caseggiato; uno spazio di rappresentazione para-comunitaria. I "gruppi di ascolto" del festival non sono solo la riscoperta recente di uno stile di fruizione del passato; essi hanno invece costituito  veri e propri gruppi esperienziali, quelli in cui si votava a casa, ci si divideva sul giudizio sulla canzone più bella e così via. A questo livello, Twitter (e più generalmente la rete) consentono una ricostruzione immediata e facilitata di quella logica di relazione che, in definitiva, era già un'esperienza di network, sebbene con numeri necessariamente ridotti e vincolati allo spazio fisico (bisognava cioè condividere i luoghi della fruizione, elemento che scompare nella connessione remota).
Il secondo aspetto, come dicevo, riguarda aspetti sociali. Il bisogno di condividere emozioni, di segnalare una presenza, di diventare elementi costitutivi del protagonismo del pubblico. Discutere di Sanremo, dividersi fra fautori e denigratori o anche assumere un atteggiamento di infastidito distacco costituiscono modi attraverso cui entriamo in una relazione sociale ampia, anche se per un tempo limitato. L'hashtag #sanremo diventa trend topic semplicemente perché riporta su Twitter lo stesso universo emozionale che nel passato era presente nelle discussioni al bar o nei mercati o nelle lettere ai giornali e ai rotocalchi. La giunzione di questi due aspetti in una tecnologia che consente immediatezza e orizzontalità favoriscono un fenomeno che considero straordinariamente nuovo nelle modalità comunicative ma assolutamente prevedibile nelle logiche sociali che vi sono soggiacenti.
Si tratta, quindi, di una tendenza che è al tempo stesso nuova e vecchia e proprio per questo socialmente significativa.


2) Perché la gente è così attratta dal parlare di un evento durante la sua messa in onda? È sempre stato così oppure no?

Lo avevo già anticipato prima. L'evento televisivo rappresenta un momento sociale a elevata distanza fisica (noi siamo normalmente lontani dal luogo fisico della rappresentazione) e a bassa cerimonialità (a differenza del teatro dove, sebbene sempre meno, esistono ancora regole condivise di fruizione evidenziate anche dall'abbigliamento e dalle "liturgie" consolidate di presenza, la televisione non richiede l'adozione di regole particolari: io posso vedere la tv - normalmente - vestito come voglio, magari mangiando e comunque collocando la fruizione nello spazio privato dell'ambito domestico). L'evento televisivo, cioè, si colloca, fin dalle origini della televisione, nei luoghi della convivialità; i suoi contenuti si prestano a essere discussi e a diventare parte dello scambio sociale. Peraltro, parlare durante la messa in onda (che è, dicevamo, lontana solitamente dal luogo di fruizione) non disturba i performers (come invece accadrebbe a teatro se decidessimo di commentare lo stile di recitazione di un attore). Da questo punto di vista, la televisione prosegue la logica del broadcasting radiofonico ma al tempo stesso si connette alla tradizione delle fiere, della fantasmagoria circense: dove, appunto, parlare (talvolta persino con i protagonisti dello spettacolo) era del tutto normale.
Sono esistiti momenti in cui l'evento televisivo è stato vissuto come rappresentazione "sacra" ma si tratta, per lo più, di eventi eccezionali o di natura globale (il pozzo di Vermicino, l'uomo sulla Luna, etc.). Per il resto, la televisione è cornice di discorso sociale e, al tempo stesso, oggetto di discorso.
Oggi - e qui è il cambiamento - è possibile il commento, il dibattito, la presa di posizione in una dimensione più ampia e, contemporaneamente, produrre un feedback quasi-diretto ai protagonisti, agli autori del programma e così via. La novità, quindi, non è parlare durante un evento; la novità è semmai rendere disponibile quello che si dice anche a un pubblico di potenziali sconosciuti, fra cui gli stessi "enuncianti".


3) Qual è l'autore tv presente o passato a cui questa possibilità sarebbe piaciuta di più?

Difficile dirlo. Penso che alcune possibilità che i social network ci consentono non fossero neanche ipotizzabili 30-40 anni fa. Usando la domanda come un gioco, direi che forse a Enzo Tortora sarebbe piaciuta molto la possibilità di leggere "in diretta" il sentiment del programma e, forse, avrebbe anche amato l'idea di una televisione capace di produrre vere e proprie comunità interpretative. Lo dico, ovviamente, pensando a Portobello, che aveva già in nuce le potenzialità per essere strumento di attivazione di una dimensione comunitaria (e che peraltro riuscì anche a esserlo); ma naturalmente si tratta di un gioco. E' difficile immaginare come si possa collocare un autore in un'architettura di comunicazione così diversa.

4) Quale pensa sia il futuro della tv insieme a Facebook e Twitter?

Io credo che la televisione tenderà a essere sempre più integrata con la rete, con i social network in particolare. Si tratterà di un processo lento perché il pubblico della televisione è mediamente più vecchio di quello della rete, meno esplorativo e meno competente dal punto di vista comunicativo. Ma si tratta comunque di un processo inevitabile. Nell'interesse di sopravvivenza della stessa televisione e anche perché il "vecchio" medium (che non considero affatto finito) ha bisogno di ridefinire la sua identità e forse anche la sua mission.


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