30 maggio 2012

The agency of the future#13 - Pasquale Diaferia (Direttore Creativo e Founder/Special Team)

Pasquale Diaferia non è solo un imprenditore, direttore creativo e giornalista, ma anche uno dei top 35 influencer della rete italiana, insieme ad Alfredo Accatino, Annamaria Testa, Pasquale Barbella e Paolo Iabichino. Un osservatore speciale, quindi, della realtà pubblicitaria. Nella sua intervista, Pasquale pone l'accento sulla produzione di contenuti per piattaforme di proprietà dei brand. Ci occuperemo per lo più di questo? Di seguito le sue risposte.

Dove nasce la tua passione per l'advertising? 
Nessuna passione per l’advertising, preferivo l’entertainment ed il giornalismo, per cui scrivo professionalmente da quando ho 16 anni e mezzo. Ho cominciato con le prime radio private negli anni ’70. Facevo ancora il liceo a Varese, dove sono nato, scrivendo testi per il quotidiano locale, gli altri speaker della radio  e per le mie trasmissioni. Poi ho continuato a Roma. Mentre facevo l’università, scrivevo testi per le prime trasmissioni nazionali: all’epoca venivano confezionate su cassette che poi erano spedite alle singole piccole emittenti. Poi, quando sono tornato a Milano, oltre a Radio Luna (la prima a trasmettere a livello nazionale, e Radio Città 1 e 2, per cui producevo radiosceneggiati, lavoravo anche per le prime tv locali. A TeleMilano 2, per esempio, c’era una trasmissione musicale che si chiamava PopCorn. Lavorai per Antonio Gerotto, il giovane regista della serie, che poi sarebbe diventato un nome di Canale 5 e della Rai. Nel frattempo, mi chiesero degli sceneggiati pubblicitari quelli di Radio Montestella. C’era un giovane direttore, Enzo Campione, che cercava forme diverse di pubblicità per la sua concessionaria, che oggi si chiama Radio e Reti e gestisce le più importanti nazionali. Produssi 12 puntate di una serie per lo smacchiatore Pludtach. Rimasi impressionato perché avevo a disposizione, rispetto alle disponibilità dell’intrattenimento, un budget smisurato ed attori costosissimi: Gianni Quillico e Ida Meda, tanto per fare due nomi del teatro dell’epoca. Fui ancora più impressionato dai complimenti che mi fece il direttore creativo che approvò gli spot. Un omino coi baffi, simpatico e burbero, che scoprii poi essere Marco Mignani. Mi disse:”Lei scrive bene, perché non lavora in pubblicità stabilmente?”. Lo guardai scettico quando mi scrisse 2 numeri di telefono su un foglietto di carta: il primo era quello della sconosciuta McCann, che risultò sempre occupato. Il secondo era quello della ancor più anonima JWT: mi videro il giorno dopo e mi assunsero. Era il 1 aprile 1983, pensavo fosse uno scherzo. Così mi feci assicurare che potevo continuare a scrivere per le mie attività. Alla fine, ancora oggi è quello che faccio, dopo aver provato ad essere copy in JWT, Bates, Saatchi, Publicis, Ogilvy e direttore creativo in Grey e Young&Rubicam: scrivo per la pubblicità, ma continuo a tenere la testa nell’intrattenimento e nel giornalismo. Forse l’agenzia del futuro è proprio in questa modalità trasversale…

In che cosa consiste il tuo lavoro?
Dare personalità e storia alle marche. Trasformare lattine, scatolette, loghi, in qualcosa per cui la gente è disposta a mettere più denaro di quanto avrebbe pensato di spendere. Sempre più spesso mi capita di lavorare anche per artisti, uomini politici o semplicemente per idee: in questo caso la missione è fare in modo che la gente si impegni a modificare i suoi comportamenti verso modalità che mai avrebbe immaginato. Insomma un mestiere economico, innanzitutto, ma soprattutto sociale. È questo che me lo rende sopportabile. Vendere solo saponette o telefonini non sarebbe altrettanto interessante.

Qual è la tua giornata tipo?
Non lavoro più con agenzie tradizionali, ma da indipendente. Questo mi consente due reali booster. Dormo poco, e questo mi dà un reale vantaggio quantitativo rispetto alle normali pratiche d’agenzia. Poi, grazie al digitale, opero in remoto con le persone che lavorano con me, e che ho scelto per il loro talento anche se sono in posti diversi del mondo, non solo in Italia, e questo mi dà un reale vantaggio qualitativo. Per il resto pensare, scrivere e trasformare le idee in fatti reali ha mantenuto la stessa routine produttiva del passato.

Come pensi sarà l'agenzia del futuro? Come si dovrà organizzare rispetto al cambiamento del mercato?
Il modello produttivo che ho raccontato prima è quello che vedo prevalere: forte rete collaborativa senza confini e senza gerarchie prestabilite. Nei grandi network, come nelle piccole strutture ormai è così: ci sono ancora figure di riferimento, ma sempre più spesso si vedono lunghe liste di credits trasversali. Il modello finanziario invece pendolerà a lungo tra i grandi gruppi, che dialogano contrattualmente con i grandi clienti, e gli indipendenti che riescono ancora a stupire tutti riscrivendo ogni giorno la grammatica di questo mestiere, proprio perché non hanno freni di tipo finanziario né consigli di amministrazione a cui rispondere ogni trimestre. Questo non cambierà fino a quando anche le grandi strutture economiche non scopriranno che possono comprare contenuti di qualità sul mercato indipendente. E visto che non ci sarà più acquisto media (si va verso modelli in cui i clienti saranno anche editori di sé stessi su piattaforme digitali proprietarie), anche le grandi corporation della comunicazione non avranno più nulla di esclusivo da vendere. Dubito di essere ancora attivo, in quel periodo. Ma se dovessi esserci, andrò a suonare il campanello di Sir Martin Sorrel e gli farò una pernacchia.

Quali nuovi ruoli immagini nell'agenzia del futuro?
Come ho detto sopra, forse non ci sarà un’agenzia del futuro, ma professionisti che lavoreranno per le piattaforme proprietarie dei grandi clienti. E probabilmente le pratiche produttive saranno profondamente diverse, rispetto al passato. Al limite più simili a quelle di un gruppo editoriale, in cui ci sono personaggi stabili e di coordinamento con la proprietà o che controlleranno gli aspetti tecnologici. Ma dove i produttori di contenuti, i creativi,  avranno solo convenienza ad esser utilizzati come fornitori indipendenti di talento e di idee.

La coppia creativa cambierà?
La mia società si chiama Special Team. Già da tempo io metto insieme squadre su singoli progetti, composte da talenti creativi di tutti i tipi. Copy ed art tradizionali, almeno nella mia pratica, sono solo alcuni degli specialisti coinvolti in progetti sempre più trasversali. Quello che è davvero significativo, rispetto al passato, è il forte coinvolgimento già in fase creativa dei registi o di chi manipola gli audiovisivi. Una volta venivano chiamati in gara a loro volta, per migliorare uno storyboard approvato dal cliente. Oggi sono parte integrante delle mie squadre, già in fase progettuale. Questo significa che non ci sono più diverse aziende che si occupano di di ideare e produrre, ma una sola macrostruttura (magari creata per l'occasione) che segue il progetto dall’inizio alla fine.

Quali sono 3 lavori che secondo te rappresentano il futuro?
a- Comincerei con un lavoro che è di un paio di anni fa, ma ha tracciato inesorabilmente la strada verso l’intreccio tra contenuti di marca e quelli dell’intrattenimento. In cui il creativo dell’application è talentuoso quanto quello che ha scritto lo spot o quello che lo ha realizzato con l’animazione 3D.



b- Poi vi segnalo le Search Stories di Google, in particolare questa di Mark Kempton. Ma se osservate ce ne sono decine. Proprio in questi giorni i ragazzi di SpecialTeamUSA hanno prodotto in Sud Africa una nuova storia, legata ad una novità tecnologica di Google. Appena sarà pronta ve la segnalerò, per dimostrarvi che ormai le compagnie diventeranno sempre più produttrici di contenuti pensati per promuovere il consumo di loro marche. Nel caso di Google è facile, perché loro sono già un’azienda vocata al futuro ed ai contenuti. Devono solo chiamare creativi e produttori per avere il loro contenuto da diffondere sulla propria piattaforma. Ma questo diventerà il tratto comune a tutte le aziende che vorranno dare valore aggiunto alle proprie marche, dal grande produttore di food al piccolo ristorante sotto casa.




c- Infine vi segnalo che la prossima settimana, durante gli Internazionali di Tennis di Francia al Roland Garros, Allain Afflelou ha chiesto ad un gruppo di videomaker di User Farm di realizzare la sua pubblicità. Questo spiega come i brand opereranno in futuro: oltre ad assicurarsi la partecipazione dei propri clienti a questa interessante sfida creativa, può utilizzare il potenziale creativo e dinamico di tutta la community internazionale di creativi e videomaker, aggregati sotto l’ombrello di User Farm. Non c’è ancora uno spot, nè mi sembra di vedere alcuna sigla  della comunicazione coinvolta in questa iniziativa, né direttori o reparti creativi tradizionali. Non c’è nulla da vedere, insomma. Ma se qualcuno ha un po’ di vision, capirà.

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